Universitaria suicida alla IULM, la mia intervista su BitontoLive

È mercoledì primo febbraio quando nel bagno dell’Università IULM di Milano viene ritrovato il corpo esanime di una studentessa di soli diciannove anni. Non ci sono dubbi: si tratta di suicidio. Ha lasciato un messaggio in cui chiede scusa alla famiglia per i fallimenti personali e nello studio, per un esame al quale non si è presentata.
La risposta della IULM non tarda: sospensioni delle lezioni per un giorno e invito ad osservare tre minuti di silenzio per le commissioni impegnate negli esami. Silenzio. Lo stesso con cui le istituzioni universitarie rispondono alle richieste d’aiuto che arrivano dagli studenti. E la notizia rischia di scivolare nell’oblio, nonostante l’attenzione mediatica delle prime ore. Ciò che rimane è una vita tranciata, segno di un malessere strisciante e taciuto, quello di tanti studenti che vivono l’insuccesso universitario come un fallimento. Secondo l’Istat, infatti, il 5% dei suicidi in Italia riguarda giovani sotto i 24 anni, di cui molti universitari.
Abbiamo voluto approfondire con la psicologa bitontina Santa Maggio le condizioni psicologiche ed emotive degli studenti, il rapporto con la famiglia e gli amici e l’importanza della prevenzione.
Quanta pressione e quanto carico emotivo c’è per uno studente universitario?
«Uno studente universitario passa, il più delle volte, dall’andare a scuola con un senso di obbligo, allo scegliere liberamente un percorso che definirà in modo decisivo il suo futuro; si tratta di una fase delicata in cui spesso si avverte il pericolo di scelte sbagliate e si sente il peso delle aspettative della famiglia, della società, ma soprattutto delle proprie. Mi capita spesso di incontrare giovani universitari stressati e sfiancati dalla lotta con le proprie aspettative guidate da modelli di perfezione idealizzati e spesso inconsistenti. Il carico emotivo che uno studente si porta dietro è enorme, perché non è legato solo alle difficoltà concrete e oggettive insiste nello studiare e nell’affrontare l’ansia degli esami, ma soprattutto al peso dei giudizi di una società che sembra esigere la perfezione. Sembra che manchi la capacità di tollerare la frustrazione: bisogna essere a tutti i costi belli, intelligenti, non bisogna mai fallire, non bisogna mostrare le proprie debolezze, bisogna farcela da soli, chi chiede aiuto è debole, chi piange ancora di più, bisogna avere un ottimo rendimento accademico, bisogna studiare poco e rendere il massimo, è necessario mostrarsi sempre sorridenti anche quando c’è qualcosa che non va. Da qui è facilmente comprensibile come può essere ovvio per uno studente vivere in un costante stato di tensione e ansia che inevitabilmente, quando è prolungata, può sfociare in depressione».
Cosa può spingere una persona così giovane al suicidio? C’è un modo per fare prevenzione?
«Per molti studenti universitari è proprio la depressione a spingere al suicidio. La depressione non solo induce profonda tristezza, solitudine, sentimenti di inadeguatezza e rabbia, vissuti di colpa o perdita, incapacità di trarre piacere dalla vita quotidiana, appiattimento delle emozioni, abuso di sostanze, isolamento sociale, uso massiccio della tecnologia, disordini alimentari, disturbi fisici da somatizzazione, ma spesso, purtroppo, è associata a ideazione suicidaria. Per questo è importante cogliere i primi segnali di disagio che lo studente manifesta e cercare di favorire un dialogo rispettoso e costruttivo volto a esplicitare i pensieri automatici negativi quali ad esempio: “Non valgo niente!”, “Gli altri non mi capiscono!”, “Rovinerò tutto!”, “Non devo sbagliare, perché se fallisco in qualcosa vuol dire che sono un fallito!” …eccetera. Più questi pensieri diventano presenti e insistenti, più la persona si sente triste ed è portata a fare meno. In questo modo si rinforza l’idea di sé come incapace, creando un circolo vizioso. A mio avviso per fare prevenzione è necessario che si formi una rete consistente e coesa tra famiglie, amici e agenzie formative (scuola/università) che ruotano attorno ai ragazzi. Appena si colgono i primi segnali di disagio è utile mobilitare chiunque possa essere di aiuto a risolvere la problematica. Le agenzie formative dovrebbero attivare sportelli psicologici in grado di accogliere e, se è il caso, indirizzare a specialisti del benessere psicofisico».

In questo delicato periodo storico ho ricevuto diversi sfoghi da parte di genitori in difficoltà con i propri figli, ho pensato pertanto di dedicare un piccolo spazio virtuale dedicato ai genitori.








Cos’è? Sei felice quando hai raggiunto obiettivi rilevanti per il tuo benessere personale. Non si riduce all’inseguimento dei sogni futuri, ma al cercare di godere al meglio di quello che si possiede nel presente.
Cos’è? Hai paura quando avverti una minaccia fisica o sociale per la tua incolumità o temi che qualcosa possa pregiudicare il raggiungimento di un obiettivo per te rilevante.
Cos’è? Sei triste se avverti la sensazione di aver perso qualcosa/qualcuno oppure sei consapevole di non aver raggiunto una meta per te significativa. E’ un invito a fermarti, elaborare la ferita e ripartire con rinnovata energia.
Cos’è? Ti arrabbi se qualcosa ostacola il raggiungimento dei tuoi obiettivi, lede i tuoi diritti oppure pensi di aver subito un torto, un’offesa o un danno ingiusto.
Cos’è? Sei disgustato quando entri in contatto fisico con oggetti inanimati che ispirano repulsione visiva, tattile, olfattiva o gustativa.