riproviamoci ancora

Riproviamoci ancora

Un racconto per riflettere sulla comunicazione
e sulle dinamiche tra genitori e figli adolescenti

Il racconto che segue, intenso e ribelle, grazie ad un piccolo tuffo nella mente di un’adolescente, fa riflettere sulla comunicazione e sulle dinamiche genitori-figli adolescenti.

L’adolescenza è sicuramente il momento più critico della vita sia per i figli che per i genitori. Non ci si trova più davanti ad un bambino dipendente e spesso accomodante ed essere genitore diventa sempre più un compito di costante adattamento soprattutto in questa fase importantissima e nuova del ciclo vitale.

L’adolescente deve fare i conti con i profondi mutamenti degli aspetti fisici, con la rottura dell’equilibrio emotivo, con il rapido alternarsi di stati d’animo opposti e i problemi connessi, con il comparire delle pulsioni sessuali, con le prime esperienze sentimentali, con le scelte professionali, ideologiche, scolastiche, ma soprattutto con il desiderio di indipendenza e allo stesso tempo di un rapporto diverso con gli adulti.

In questa delicata fase della vita i ragazzi hanno bisogno di fiducia, di sapere che gli adulti di riferimento accettano la loro sperimentazione e in questo un genitore può riuscirci nella misura in cui immagina cosa il figlio pensa e come potrebbe reagire o comportarsi alle diverse situazioni che gli si presentano.

Tutto diventa più difficile da gestire quando è un solo genitore a dover far quadrare il tempo, le spese, il cuore, i bilanci vari.

Mille strade d’incontro possono dipanarsi quando, poi, c’è davvero il bisogno di incontrarsi, di rimescolare tutte le emozioni come carte della vita, di una quotidianità, che può anche farsi dura ma mai invivibile per chi vuole crederci.

Solo quando noi adulti riusciamo a meravigliarci, a guardare il mondo degli adolescenti con i loro occhi, ad ascoltarli e ad accoglierli senza farli sentire giudicati, possiamo aprire la comunicazione e creare quel rapporto vivo che offre uno spazio necessario per un sano sviluppo psicologico ed emotivo.

a cura della Dott.ssa Santa Maggio

Riproviamoci ancora

Francesca osservava da tempo il soffitto plumbeo e anonimo della sua cameretta. Angeli e demoni, caduti entrambi dallo stesso Paradiso semivuoto, svolazzavano minacciosamente sul suo capo confuso e ribelle. Troppo ribelle. Troppo incazzato.

Era uno di quei pomeriggi di primavera in cui stentava a studiare. Cominciava a essere stanca di ritrovarsi sempre sola in casa.

Sola con i suoi pensieri stentati, sola con le paure, le incertezze, gli incubi.
Sola con un vuoto dentro sempre più devastante.
Sua madre lavorava tutto il giorno e si vedevano pochissimo.
Da ore la pagina bianca dinanzi a lei restava immacolata, rifiutando di riempirsi di chiacchiere.

“Le chiacchiere abbelliscono il nulla ma non lo riempiono mai”, sbraitava uno dei demoni gaudenti.

“Taci, maledetto demonio! Non vedi quanto è triste?”, cercava di indorare la pillola l’angelo buono.

La fantasia cozzava con la malinconia e si accompagnava al silenzio.

Titolo del tema: “Dialoghi apertamente con i tuoi genitori?”

A quattordici anni era stufa di mentire.

Mio padre, buon’anima, è andato avanti (cioè morto) quattro anni fa. La mamma se ne sta per cavoli suoi… Non dialoghiamo perché non ha mai tempo per me”… avrebbe voluto scrivere.

Perché tanti spazi bianchi si frapponevano fra lei e sua madre rendendo pesante un silenzio già troppo inquietante.

Il sole, che penetrava dalla finestra alle sue spalle, riscaldava piacevolmente il petto rammaricato, ma il buio nel cuore smorzava ogni sorriso.

Testo: Io e mia madre siamo molto unite. Quando torna dal lavoro, si siede accanto a me sul divano rosso in cucina e mentre sgranocchiamo patatine alla cipolla, le nostre preferite, mi domanda come è andata la mia giornata. Ridiamo come pazze quando le racconto le avventure della mia classe, le prime cotte delle mie amiche e anche la mia per Luca, il più figo della scuola. È simpatico e poi mi fa ridere… Ho tanto bisogno di ridere. Sì… ho davvero tanto bisogno di ridere. Sono felice e quando mia madre è vicina mi sento protetta, mi sento amata…………………………………………………………………………………….

P.s…..Così sarebbe, se mia madre avesse tempo per me… Ma… avremo mai tempo?”

Aprì il diario, dalle pagine colorate sbucò all’improvviso la foto di Luca e uno strano rossore le imporporò le guance.

Sua madre non s’era neppure accorta che stava crescendo. Che non era più la bambina da quietare con cioccolatini e giocattoli. Che si stava innamorando e un rimescolio di emozioni le faceva vacillare le gambe.

Era sempre troppo impegnata con le cene dalle sue amiche, troppo presa da se stessa.
Desiderava davvero una figlia quattordici anni prima quando l’aveva concepita?

Il tema era stato concluso senza troppi entusiasmi. Parole inutili, che sapevano di fumo, di solitudine, di rabbia a lungo fagocitata e inespressa, di illusioni gonfie come inconsistenti bolle di sapone.

Chi lo avrebbe mai saputo?

A scuola gli amici la invidiavano:

“Beata te, che hai una mamma così giovane, così frizzante, così allegra. È super, vero? Sembrate sorelle!”
“Che strana la vita!”, pensò Francesca sbadigliando e stiracchiandosi per pigrizia.
Un rumore di chiavi infilate frettolosamente nella toppa, il cigolio della porta ed eccola puntualmente far capolino nella sua camera.

“Franciiii? Sei in casa? Vieni ad abbracciarmi! Ho avuto una pessima giornata!
È bello rientrare sapendo di trovarti, bambina mia!”
“Quante volte, mamma, devo ricordarti che non sono più una bambina?”

Il volto incollerito e la testa ricciuta e scomposta fecero sorridere Claudia.

“Hai cenato?”
“Non ho fame e poi ho tanti compiti da fare e poi non ho tempo da perdere”
“Non ha tempo da perdere, la signorina…” ribadì stizzita Claudia.

Sempre la stessa storia. Non riuscivano più a comunicare. Se n’era accorta da tempo, ma non sapeva che altro tentare per riavvicinarsi a lei. Non era mai stata una brava mamma, è vero, ma Franci era tutto il suo mondo. Forse l’aveva trascurata per il lavoro, ma non aveva alternativa. Quel maledetto lavoro in una fabbrica maleodorante le stava allontanando. Per appena 750 euro netti al mese.

Sospirò e rimase seduta a lungo in silenzio sul letto di sua figlia che, di proposito, non la guardava neppure. Ma sentiva il fiato pesante sul collo e soffriva.

Due mondi vicini eppur lontani che non si incontravano più.

“Che ci fai qui?”, borbottò quasi ringhiando Francesca. “Non hai impegni stasera?”
“No. Non esco. Resto qui con te.”
“Non preoccuparti, mamma, mi sono abituata a star sola. Ci si abitua a tutto prima o poi, non credi?”

Francesca sentiva la rabbia salire alla labbra, incontenibile, come se il silenzio all’improvviso avesse aperto la valvola di sfogo.

“Perché sei dura con me?”
“Perché non dovrei esserlo.. mammina cara?”
“Vuoi sapere cosa è accaduto oggi? La prof di italiano mi ha assegnato un tema da svolgere a casa e ho dovuto mentire… perché non parliamo mai… perché non mi chiedi nulla… Perché non mi conosci…mamma… Mi consideri ancora la tua bambina… Ma non sai ciò che provo… ciò che penso… Sono cresciuta presto… anche grazie alla tua assenza.”

Uno sguardo così cupo e ferito Claudia non l’aveva mai visto. Aveva dinanzi a sé un’estranea. Si vergognava e taceva. Giocherellava nervosamente con le dita e pensava.

“Vuoi leggere il tema? Fa’ pure e, se proprio ci tieni, soffermati soprattutto sull’ultimo rigo che, ovviamente, in bella copia non riporterò mai”

Le porse il foglio macchiato d’inchiostro, accartocciato più volte. Lo aprì tremando, lesse tutto d’un fiato sotto lo sguardo minaccioso di sua figlia e con tanta pena nel cuore giunse al post scriptum. Un nodo in gola le seccò la saliva. I suoi errori scorrevano visibilmente in quelle righe e di colpo li vedeva tutti insieme.

Si fissarono a lungo e si abbracciarono.

Franci era ancora scettica ma aveva bisogno di quell’abbraccio. Come un’ancora nel maremoto che le tranciava il fiato. Come ossigeno puro tra i fumi di sagome poco nitide.

“ … Avremo mai tempo, mamma?”

“Sì… Credo di sì… Se lo vorrai…Se lo vorremo… Perdonami, se puoi” accennò a stento Claudia fra i singhiozzi.

“ Ok… Riproviamoci ancora! Per favore, non deludermi, perché non so se riuscirei a perdonarti ancora. Anche se sei mia madre, se ti voglio più bene di chiunque altro, se riconosco che non hai tutte le colpe, no, non penso che ingoierei un’altra illusione.

Una madre, una buona madre, non nasce tale, ma di certo può diventarlo se lo desidera.”

Aveva detto tutto e la libertà che le riossigenava i polmoni era più dolce di ogni sperata speranza.

(Angela Aniello)

 

1 commento
  1. DOMENICA dice:

    LE FAVOLE CI SONO E CI SARANNO SEMPRE. l’ADULTO NON DEVE DIMENTICARE CHE SONO UNA FORMA DI COMUNICAZIONE CHE FACILITANO UNA RELAZIONE PERCHE’ COMUNICARE SIGNIFICA CUM (CON, INSIEME) E LA VOCE E LA PRESENZA DELL’ADULTO SONO IMPORTANTI PER LO SVILUPPO BIOPSICHICO DEL BAMBINO E DEL RAGAZZO.
    LA VOSTRA E’ UNA BELLISSIMA INIZIATIVA CHE OFFRIRA’ MOMENTI DI RISVEGLIO ALCHEMICO. BUON LAVORO. DINA

    Rispondi

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