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La fiaba: un aiuto psico-pedagogico nel processo di crescita

“C’era una volta…” una frase che evoca ricordi, emozioni legate all’infanzia quando, attraverso il racconto letto da una voce calda e familiare, nella mente prendevano vita situazioni, personaggi e luoghi fantastici. Raccontare fiabe ai nostri bambini oggi potrebbe sembrare “fuori moda”, ma questo metodo antico e sempre efficace, permette di trasmettere morale, valori e soprattutto consente di favorire e stimolare l’immaginazione, motore della creatività. Oggi i bambini sono sempre più attratti da videogiochi, televisione ed internet, strumenti che forniscono stimoli forti e accattivanti, ma che non sono sempre in grado di garantire le giuste risposte ai quesiti che emergono in età evolutiva.

L’ascolto di favole e fiabe permette ai bambini di immergersi nell’immaginazione, di sperimentare meraviglia e di confrontarsi con le potenzialità dei personaggi e le innumerevoli possibilità della fantasia.

Quando si racconta una fiaba si regala ai bambini un momento divertente che stimola la curiosità e che è anche un vero e proprio “allenamento” alle emozioni: offrendo ai bambini la possibilità di conoscere gli stati emotivi dei vari personaggi è come se gli si fornisse anche “uno specchio” che favorisce il riconoscimento e la comprensione dei propri stati d’animo e le conseguenze positive o negative che alcune emozioni potrebbero scatenare.

Tramite il racconto è possibile aiutare i bambini a trasformare situazioni ed emozioni in immagini fantasiose e a trasportarle nella realtà attribuendo un significato nuovo e più comprensibile.

La realtà viene semplificata, molte situazioni e vissuti vengono tradotti, per questo si può affermare che la fiaba è uno strumento che vanta importanti funzioni sia psicologiche che pedagogiche in quanto: permette di far conoscere al bambino le possibili avventure e disavventure della vita, insegna a riconoscere i “buoni” dai “cattivi” e il “bene “ dal “male”, permette un contatto con emozioni sia positive che negative, evoca situazioni felici e rassicuranti ed esorcizza elementi violenti, negativi e ostili della realtà e del mondo che il bambino inizia timidamente a conoscere.

Le fiabe, oltre a favorire lo sviluppo di fantasia, immaginazione e creatività, presentano al bambino i principali problemi umani (ad esempio il bisogno di essere amati, la sensazione di essere inadeguati, l’angoscia della separazione, la paura della morte, ecc.) e grazie ai ruoli dei vari personaggi, rendono distinto e chiaro ciò che nella realtà può apparire confuso. I racconti quasi sempre esprimono, in modo simbolico, situazioni problematiche che spesso accadono nel quotidiano e successivamente suggeriscono come possono essere risolte, puntando sulle risorse e sulle potenzialità dei personaggi.

Raccontare fiabe permette di comunicare con il bambino in maniera interattiva affinché egli possa iniziare a familiarizzare con la lettura e con la scrittura, coinvolgendo la sfera cognitiva ed emotiva, imparare a comunicare con gli altri, potenziare la creatività espressiva, sviluppare il linguaggio e la capacità di esprimere stati d’animo, sentimenti ed emozioni. Ascoltando il racconto i bambini possono imparare che la vita prevede delle difficoltà, delle situazioni problematiche che tuttavia possono essere affrontate e superate: in questo modo si pongono le basi per costruire la propria identità personale e culturale.

Per i “piccoli ascoltatori di fiabe” un ruolo importantissimo lo svolge chi legge o racconta fiabe: esso viene percepito come una persona disponibile e presente e grazie al tono di voce familiare e all’affetto che in esso si svela, il bambino impara a riconoscere parole, nomi, verbi e preposizioni. A tal proposito G. Petter scrive: “… nostro figlio potrà imparare molte parole nuove e potrà anche apprendere e rinsaldare certe strutture sintattiche, ovvero certi modi tipici di costruire la frase. Queste strutture linguistiche a poco a poco si fissano, diventano qualcosa di automatizzato, assumendo l’aspetto di vere e proprie abitudini verbali”.

La voce di chi racconta, fornisce al bambino sensazioni ed emozioni che cambiano ad ogni suo cambio di tono, questo permette una migliore comprensione di quanto ascoltato e delle emozioni che accompagnano il racconto.

Il tempo che un adulto dedica alla lettura di una fiaba per il proprio bambino è un tempo di condivisione di grandissimo valore educativo, è un “tempo di qualità” soprattutto se, dopo il racconto, si offrono risposte alle domande dei piccoli ascoltatori intrise di curiosità e creatività.

Le fiabe possono trasformarsi in uno “strumento terapeutico” perché permettono di presentare svariate situazione di vita, di accogliere il vissuto emotivo del bambino e di restituirglielo con un linguaggio che egli possa comprendere; inoltre possono essere un valido aiuto nella comprensione di ciò che i bambini custodiscono nella loro mente e nel loro cuore e che, non avendo ancora maturato le competenze per esprimere verbalmente, cercano di comunicare con atteggiamenti che a volte sembra difficile interpretare.

Ogni bambino ha diritto ad essere stimolato e affiancato nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale, e questo può essere fatto anche attraverso la lettura di fiabe.

Santa Maggio

Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere

(G.K. Chesterton)

Incontri per genitori: “Genitori… si cresce!!!”, secondo incontro

“L’esercizio del potere nel ruolo genitoriale”

L’Associazione “Genitori insieme per crescere” ha organizzato quattro incontri per genitori dal titolo “Genitori… si cresce!!!”.

Venerdì 14 marzo ore 18:00 si terrà il secondo degli incontri per genitori “Genitori… si cresce” sul tema “L’esercizio del potere nel ruolo genitoriale”. L’incontro si terrà presso il 1° Circolo Didattico “N. Fornelli” di Bitonto. Relatrici saranno la Dott.ssa Santa Maggio Psicologa e la counselor Prof.ssa Luciana Quarta.

Per chi non l’avesse ancora fatto è possibile scaricare la dispensa del primo degli incontri per genitori sul tema “L’accettazione del figlio come altro da me” cliccando sul pulsante sottostante:

Per informazioni sugli incontri per genitori in calendario può contattare l’Associazione “Genitori insieme per crescere” o visitare il sito web www.genitoriinsiemepercrescere.it

Dispensa primo incontro “Genitori… si cresce!!!”

L’Associazione “GENITORI INSIEME PER CRESCERE” ha organizzato quattro incontri per genitori a tema, presentati con lo slogan “Genitori… si cresce!!!” che si terranno presso il 1° Circolo Didattico “N. Fornelli” di Bitonto in collaborazione con la Dirigenza Scolastica del 1° Circolo, con il patrocinio del Comune di Bitonto, e con il sostegno attivo di esperti in tematiche genitoriali e problematiche dell’infanzia e della preadolescenza.

E’ possibile dal pulsante sottostante scaricare la dispensa del primo degli incontri per genitori “Genitori… si cresce!” sul tema “L’accettazione del figlio come altro da me” elaborata dalla Dott.ssa Santa Maggio Psicologa e dalla counselor Prof.ssa Luciana Quarta.

Si ricorda che il prossimo incontro è in calendario per Venerdì 14 Marzo alle ore 18:00 e tratterà il tema “L’esercizio del potere nel ruolo genitoriale

Incontri per genitori: “Genitori… si cresce!!!”

L’Associazione “GENITORI INSIEME PER CRESCERE” ha organizzato quattro incontri per genitori a tema, presentati con lo slogan “Genitori… si cresce!!!” che si terranno presso il 1° Circolo Didattico “N. Fornelli” di Bitonto in collaborazione con la Dirigenza Scolastica del 1° Circolo, con il patrocinio del Comune di Bitonto, e con il sostegno attivo di esperti in tematiche genitoriali e problematiche dell’infanzia e della preadolescenza.

Il primo degli incontri per genitori sul tema “l’accettazione del figlio come altro da me” si terrà venerdì 28 febbraio ore 18:00.
Relatrici saranno la Dott.ssa Santa Maggio Psicologa e la counselor Prof.ssa Luciana Quarta

Interverrà il Prof. Vito Masciale – Assessore Pubblica Istruzione e Servizio Civile del Comune di Bitonto

L’immaginario dell’educazione

Pensando all’educazione, mi viene in mente l’espressione rassegnata ma allo stesso tempo rabbiosa del viso di mio nonno, novantaquattrenne, quando guardando la tv o ascoltando i propri nipoti parlare tra loro ha pronunciato più volte in dialetto questa frase: “Il mondo è cambiato, non si capisce più niente, i giovani sono tutti maleducati e senza rispetto”. Solitamente un disinteressato sorriso è la reazione più immediata a questa frase perché detta da un “vecchio retrograde” non ha molta importanza; invece ritengo che in quelle semplici e scontate parole si racchiuda il problema delle nuove generazioni che, nonostante appaiano forti, autonome e combattive, in realtà vivono un gran senso di smarrimento.

In passato l’educazione dei giovani era rigida, autoritaria, repressiva e anche i rapporti interpersonali dovevano conformarsi a schemi e regole condivise da tutti; chi decideva di prendere strade diverse era considerato deviante e veniva presto punito e tagliato fuori dalla società. Persino i rapporti tra genitori e figli erano basati su un sentimento di profondo rispetto al punto da dare del “voi” ai propri genitori con i quali si viveva un rapporto distaccato.
Tuttavia, pian piano la vecchia società patriarcale e autoritaria è scomparsa e si è avviato un graduale cambiamento che ha coinvolto la famiglia, la scuola, il lavoro e ha scardinato i vecchi valori e i vecchi modelli educativi a favore di una società più aperta e democratica in cui la comunicazione e i rapporti interpersonali assumono un ruolo fondamentale nell’affermazione di sé, nella crescita personale e nello sviluppo di una società più libera e creativa che vede emergere rapporti umani più gratificanti e costruttivi.

Nonostante i molti contributi positivi, questo radicale cambiamento ha portato anche dei risvolti negativi: con il crescere della libertà è cresciuta anche l’incertezza, il disagio esistenziale, l’individualismo, la solitudine. Tutto questo non fa che alimentare stress, crisi di identità, crisi dei ruoli sociali, conflitti familiari e separazioni coniugali. I nostri antenati erano sicuramente meno liberi di noi nelle relazioni, per esempio non potevano scegliere se sposarsi o convivere, non potevano avere un rapporto alla pari con il proprio datore di lavoro, non erano liberi di manifestare apertamente in pubblico il proprio pensiero, la propria identità sessuale e le proprie emozioni, però erano meno insicuri, meno ansiosi e meno stressati; quelle che rappresentavano delle restrizioni erano anche una guida sicura per orientarsi nella vita sociale, una fonte di sicurezza per la strutturazione di un’identità salda. Loro a differenza nostra non si portavano dietro il senso di incertezza oltre i trent’anni, perché già a sedici o a diciotto anni venivano considerati adulti in grado di sostenere una famiglia.

Ciò che oggi si avverte è il bisogno di creare dei nuovi modi di vivere il rapporto con gli altri e con se stessi. Ci troviamo in un delicato momento di transizione in cui si buttano sempre più via i vecchi valori, le vecchie forme di relazione ed emergono nuove esigenze, nuove aspettative che rendono difficile l’orientamento autonomo nella società, difficile munirsi di consapevolezza nel compiere delle scelte perché magari si segue ciecamente la strada percorsa da altri, quella strada che porta il nome di “moda”. Così capita spesso di trovarsi di fronte a conflitti, scontri e blocchi delle relazioni dei quali si vorrebbe dare la colpa agli altri invece di assumere un atteggiamento obiettivo che riconosca le proprie responsabilità.

I ragazzi oggi sono spesso lasciati in balia di se stessi e devono imparare sulla propria pelle, per tentativi, a fronteggiare le frequenti sconfitte della vita; l’educazione che essi ricevono a scuola è spesso un indottrinamento che trascura alcune dimensioni fondamentali per la crescita personale come per esempio dimensioni relazionali, emozionali, comunicative, affettive. Nessuno ci ha mai insegnato a comunicare efficacemente, ad impostare in modo sano e costruttivo i nostri rapporti con gli altri, ad ascoltare più che parlare, a condividere più che pretendere. Inoltre, in casa, i genitori spesso esigono e si vantano di avere con i figli un rapporto di amicizia, ma tutti possono immaginare quanto questo, oltre ed essere difficile, è impossibile e deleterio: i figli hanno bisogno di avere dei punti di riferimento saldi e non si può pretendere che confidino tutto ai propri genitori proprio come farebbero con un amico; ci sono cose che vanno scoperte pian piano e che un amico può permettere, ma un genitore no.
Vivere nella società e assaporare la bellezza delle relazioni è un arte complessa che richiede un grande impegno individuale, ma soprattutto sociale; tuttavia per attuare questo è importante che indottrinamento e affettività si abbraccino e che la testa e il cuore si intreccino e camminino sempre insieme al fine di educare i ragazzi ad essere bravi cittadini del mondo.

Santa Maggio

“L’immaginario dell’educazione”. Articolo scritto per il periodico mensile “I CARE” dell’Associazione Musicale “Gruppo Immagini”

XIII Premio Nazionale della Medicina “Santi Medici”

IL DOLORE: MALATTIA “ORFANA” E SPESSO POCO ASCOLTATA
Tre giovani neo-dottoresse pugliesi premiate da una commissione di esperti

La ricerca in campo medico ha uno dei suoi punti di forza nel Premio Nazionale della Medicina organizzato dalla Fondazione Santi Medici sin dal 1976. La tredicesima edizione ha avuto come tema Il dolore cronico nella patologie neoplastiche e cronico degenerative: valutazioni farmacologiche e legislative.

I lavori giunti presso la Segreteria Generale del Premio sono stati analizzati e valutati da un’apposita commissione nominata, come da tradizione del concorso, dall’Arcivescovo della Diocesi di Bari – Bitonto. Per questa edizione, oltre a mons. Francesco Cacucci, a don Ciccio Savino e al Segretario Generale del Premio dott. Sandro Carbone, la commissione era composta, come da statuto, da: il Presidente dell’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bari sen. Luigi D’Ambrosio Lettieri, il Presidente della Far.P.As. Bari Vito Novielli, il prof.Marcello Diego Lograno (Ordinario di Farmacologia e Tossicologia dell’Università di Bari), il dott. Leopoldo Mannucci in rappresentanza della Fondazione “Gigi Ghirotti” di Roma, il dott. Gianni Vacca e Angelo Molfetta (Segreteria Scientifica).

Il primo posto nel concorso è stato assegnato, ex aequo, alle neo dott.sse Simona Antonella Caramia di Monopoli e Marilena Colaianna di Bari. La prima ha presentato l’elaborato Il dolore cronico: una malattia “orfana”. Il dolore, pur non essendo una patologia rara,spesso è abbandonato a terapie non specifiche. E’ necessario pertanto un intervento legislativo che preveda una più precisa cura del dolore, che deve essere interpretata come un vero e proprio impegno etico.

La seconda, con il lavoro intitolato “Impariamo ad ascoltare chi il dolore non riesce a comunicare”, si è occupata degli anziani malati di Alzheimer che non possono in alcun modo comunicare la propria sofferenza.

Meritevole di nota anche l’elaborato classificatosi al terzo posto e intitolato Il dolore cronico in una persona con sindrome di Alzheimer. Procedure per ristabilire attività di vita quotidiana, opera della dott.ssa Santa Maggio psicologa di Bitonto: oggetto del suo lavoro sono stati i centri talamici, che sono alla base della percezione del dolore.

Il Premio Cultori, assegnato a chi si è distinto nel campo delle scienze per lavori, proposte e iniziative, è andato invece a don Ciccio Savino per quanto ha fatto e continua a fare, nella realtà della Fondazione Santi Medici, in favore di quelli che lui stesso ha definito “la causa prima e ultima della (sua) vita, gli ultimi”. Una dedica speciale è stata rivolta dal Parroco ai suoi genitori.

Articolo estratto dal foglio informativo “inFondazione” di febbraio 2010 della Fondazione Opera Santi Medici Cosma e Damiano Onlus di Bitonto

Musica ed Emozioni

La musica accompagna gran parte della nostra vita: è di sottofondo nelle nostre attività private, è presente in auto, nei bar, nei negozi, nelle varie sale d’aspetto. Per molti la musica è una compagnia insostituibile che rende meno noiosa la routine quotidiana favorendo spesso uno stato di benessere psicofisico. Ognuno sceglie la musica in base al proprio bisogno momentaneo: c’è chi vuole rievocare un’emozione positiva e piacevole, chi attutire un’emozione negativa e fastidiosa, chi semplicemente rilassarsi e trovare il suo equilibrio, chi vuole distrarsi, chi stordirsi, chi rafforzare lo stato d’animo corrente con melodie ad esso adeguate o creare atmosfere speciali e privilegiate per sé e per chi è con lui.

La musica è capace di suscitare reazioni fisiologiche vegetative automatiche, che solitamente sono al di sotto della nostra consapevolezza: è in grado, per esempio, di modificare la pressione sanguigna, il battito cardiaco, il ritmo della respirazione. Proprio per questo forte potere di attivazione, la musica può modificare i nostri stati emotivi, richiamare immagini, sensazioni, ricordi associati a momenti significativi della nostra vita.

E’ proprio per questo che ognuno sceglie dei brani adatti alle proprie emozioni ed esclude quelli discordanti con il proprio stato d’animo o quelli che provocano disagio. Spesso, e inconsapevolmente, utilizziamo la musica come mezzo personale per un’auto terapia. Ma la musica assume una connotazione ancora più importante per chi la compone, per chi di essa ne fa un’arte trasformandola nelle forme più impensabili e creative. L’artista riversa nella sua musica tutta la sua personalità, tutto il suo mondo interiore e spesso le melodie, o semplicemente i suoni che ne vengono fuori, sono il frutto di una tensione psichica intollerante e portano, alla fine, ad una specie di rilassamento mentale e ad una reintegrazione mente, corpo e spirito.

Quando un individuo è impegnato in un’attività musicale creativa è immerso in uno stato psicofisico che riunisce aspetti diversi del proprio essere (fisico intellettuale, emozionale e spirituale) ed ha opportunità uniche ai fini di una comunicazione interiore che generano nuove occasioni di scoprire il proprio sé, il quale si esprime lasciando una traccia, qualcosa di unico e di significativo per se stessi e anche per gli altri. Il musicista, sia esso professionista o dilettante inesperto, gode di un particolare benessere quando crea suoni e melodie grazie alla sua capacità di attingere dall’inconscio; così egli esprime, in personali forme, un’impronta che è esclusivamente sua e che nessuno altro potrà mai produrre esattamente nello stesso identico modo.

La musica genera emozioni, le emozioni generano l’azione: allora perché non proviamo un po’ tutti ad esprimere la nostra personalità in modo diverso? A strimpellare, a cantare e a giocare con la musica e con gli strumenti a disposizione in maniera nuova? Non importa se ciò che ne verrà fuori sarà un suono melodioso, un rumore strano, se farà ridere, piangere, angosciare, irritare o sognare qualcuno!… In ogni caso avrà creato una reazione e magari un’emozione.

La musica è capace di portarci in alto: le nostre emozioni, il nostro pensiero e il nostro spirito si estendono oltre le normali restrizioni perché la musica ci spinge verso la nostra interiorità, al centro del nostro corpo. La musica, essendo un’arte è, come sosteneva Sigmund Freud, una delle più alte forme di sublimazione.

Santa Maggio

“Musica ed Emozioni”. Articolo scritto per il periodico mensile “I CARE” dell’Associazione Musicale “Gruppo Immagini”