Io quello lì non lo voglio!
Un racconto per riflettere sulle reazioni dei bambini alla nascita del fratellino
Il racconto che segue permette al lettore di proiettarsi, simpaticamente, ma con una punta di drammaticità, nei fervidi pensieri di un bambino che si trova di fronte alla più grande novità della sua vita: avere un fratellino… non essere più figlio unico… acquisire il ruolo di fratello maggiore.
E’ ben risaputo che la nascita di un bimbo è un momento molto delicato e complesso nella vita di una famiglia, la costringe a rivedere le vecchie dinamiche e a ristabilire un nuovo equilibrio. Questo processo, seppur naturale, pone i genitori di fronte a sfide sempre nuove e si può immaginare quanto questo possa essere ancora più difficile per il fratellino del nuovo arrivato che si trova, tutto ad un tratto, a fare i conti con molte paure e sentimenti ambivalenti.
Il primogenito è stato il centro indiscusso della famiglia, ma con l’arrivo del fratellino si troverà costretto a dividere con lui amore, tempo, spazio, oggetti e attenzioni. Così il “cocco di casa” deve abituarsi alla presenza di un membro in più, che solo per il fatto di essere così piccolo, cattura l’attenzione e la tenerezza di tutti gli adulti…così il primogenito, seppur ancora piccolo, viene visto come “il grande” ed è costretto a pensarsi “grande”.
Le reazioni da parte del bambino possono essere tante, imprevedibili e scaturiscono quasi sempre dalla paura di perdere l’esclusività nel rapporto con i genitori, di non essere più al centro del loro affetto e delle loro attenzioni, di non essere più amati! Spesso il vissuto è quello di una forte gelosia, come in un tradimento: il bambino vorrebbe che la mamma fosse tutta solo per lui perché teme che il suo amore possa essergli sottratto per essere dato al fratellino.
La gelosia è un sentimento naturale e spontaneo, che va compreso, accettato e non giudicato come comportamento sbagliato perché è innato e non riconoscerlo sarebbe come negarlo.
Alcuni bambini possono vivere l’arrivo del fratellino in maniera davvero negativa, come una imposizione, una violenta invasione che fanno fatica ad accettare. Le reazioni e l’intensità della gelosia hanno a che fare con il carattere del bambino, con la sua capacità di sopportare la frustrazione e anche con il tipo di rapporto che si crea con i genitori
Le manifestazioni di disagio e aggressività del primogenito possono essere riconosciute e meglio comprese anche osservando i loro disegni, ma la cosa più importante è ricordare che la tenerezza, l’ascolto e l’amore sono in grado di sanare qualsiasi ferita e di rassicurare il bimbo che i genitori continuano ad amarlo e a prendersi cura di lui.
a cura della Dott.ssa Santa Maggio
Io quello lì non lo voglio!
Più lo guardavo, più mi sembrava un nemico.
Poi era tanto brutto!
Mamma volava convincermi che fosse bello come me.
Figuriamoci!
L’avevo atteso come un giocattolo da rompere. Non l’avevo mai voluto. Adesso lo odiavo.
“Che tesoro!” “Guarda come muove le manine!” “Sarà intelligente, si vede!”
Di me non si accorgeva più nessuno.
Non ero interessante. Non ero bello. Non ero intelligente.
Ero solo e basta.
Avevo appena compiuto sei anni e per sei anni ero stato l’unico.
Baci, abbracci, carezze riservati a me.
Lui, il nemico, mi spiava a volte ma non ci cascavo. Mi voleva conquistare con i suoi sorrisini e gli occhioni azzurri e vispi.
Quando si è nemici, non bisogna cedere. E’ un atto di debolezza e io non ero una femminuccia.
Niente lacrime, niente parole.
Sentivo crescere in me un grande dispiacere e non potevo farci nulla.
“Giocherete insieme a calcio. Vi divertirete”
Perché gli adulti non capiscono che a volte è meglio tacere?
Ero un bambino ed ero già in guerra.
Avevo la guerra esattamente in testa, in mezzo a quelle ciocche ribelli e dispettose.
Non avevo ancora deciso cos’è che mi desse fastidio.
Forse già il nome.
Uno che si chiama Luca non mi sembrava decisamente interessante.
Già avevo faticato ad accettare il mio di nome, Gasparre.
Col tempo mi ci ero abituato e mi ero abituato ai miei spazi. Grandi, immensi.
Ora tutto era più ristretto.
I cassetti dell’armadio.
La mia stanza dei giochi dove era stato depositato di tutto.
La mia cameretta. Ci avevano piantato un lettino carino, devo ammettere, ma così triste!
Io l’avevo superato il tempo degli orsacchiotti e dei merletti, delle bavette lattiginose, delle ninnenanne prolungate.
Io ero stato dimenticato.
Mamma, si era accorta del mio broncio.
Aveva cominciato a raccontarmi storie assurde.
Tutte fantasticherie che non mi riempivano.
Prediche snocciolate come grani di rosario che non potevano essere preghiere.
Dovevo ancora imparare a pregare.
Dovevo ancora imparare a sognare.
Forse ero a metà strada verso i sogni e non coincidevano esattamente con un tipo come Luca, il mio fratellino.
Un giorno, mamma, me lo mise fra le braccia.
“Tienilo un po’ e coccolalo! Dovete conoscervi!”
Le lanciai un’occhiataccia.
Avrei potuto romperlo davvero quel giocattolino indesiderato ed eliminarlo per sempre, ma mi sentivo spiato.
Mi guardava con i suoi occhioni e sorrideva.
Per la prima volta fui costretto ad osservarlo con attenzione.
In fondo, non era affatto brutto. Però non mi somigliava!
Era un estraneo.
Dimenava piedini e manine. Sembrava volesse giocare.
Ad un tratto mi venne da ridere tant’era buffo.
“Mamma, non ti bastavo?”
Bruciava quella domanda come tutte le lacrime che non avevo versato.
“Certo, tesoro! E mi basterai sempre. Così come mi basterà, Luca!”
“Che bisogno c’era di lui? Eravamo così perfetti io, te e papà!”
“L’amore non basta mai, Gasparre. E non volevo che restassi solo!”
“Io solo? Felicissimo, mamma, della mia solitudine!”
“Ma, Gasparre…”
“Ora non hai più tempo per me. C’è sempre Luca, solo Luca, per tutti. I regali per Luca. Le attenzioni per Luca. I baci per Luca.”
“Amore mio, tu sei geloso. Per me non è cambiato nulla e ti voglio sempre bene”
Provò ad abbracciarmi, le resi Luca e corsi nella mia cameretta.
Ero tanto geloso da non riuscire a nasconderlo. Soffrivo di essere escluso. Ai bambini va spiegato l’amore quando cambia e stavolta non riuscivo a capire o forse non volevo. Mi piaceva essere egoista, volevo la mamma tutta per me. Mi mancava e non sapevo come dirglielo.
Mi misi a giocare con le macchinine.
Feci volutamente rumore.
Luca doveva essersi addormentato fra le sue braccia. Il suono della sua voce mi urtava.
Come ogni tenerezza a lui riservata.
Avrei voluto chiudere gli occhi e non pensare.
Dicono che quando i bambini li chiudono, cominciano subito a sognare.
Udii un rumore di passi.
Due braccia forti mi misero nel lettino e mi lasciai cullare.
Non stavo dormendo e neppure sognando, ma era come se lo fosse.
Poi un respiro diverso riempì l’aria.
Luca era vicino.
Non c’entrava nulla con me, ma ahimè, dovevo dividere quello spazio con lui.
Prima o poi l’avrei distrutto.
Crollai e sognai draghi sputafuoco e giardini incantati, spade di principi e un cumulo di giocattoli rotti. Ma Luca non c’era, neppure nei sogni.
Mi svegliai col suono di un bacio e un paio di manine che affondavano nel mio viso.
Ce l’avevo vicino nel letto e la mamma mi sorrideva. Ci sorrideva.
Quant’era bella!
Mi riempii di saliva, della sua bocca che suggeva le guance, dei suoi occhioni a cui non sfuggivo.
Il mio fratellino era tanto pestifero e carino.
Per un attimo fui quasi felice.
Poi sgattaiolai come un ladro dal letto. Mi ero quasi commosso e io ero in guerra.
“Dove corri?”, mi domandò mamma stupita.
“Vado a combattere!”, risposi d’istinto.
Accidenti, mi ero scoperto!
“A combattere con chi?”
“Con i giocattoli che non posso rompere!”
Scosse la testa. Secondo me pensò che fossi pazzo.
Trascorsi la mattinata senza far nulla di particolare.
Volevo distrarmi. Accesi la tv ma non c’era nulla di interessante. I soliti noiosi cartoni!
“Luca, vieni !”
La voce della mamma suonò come un ordine.
Corsi.
“Aiutami a cambiare Luca!”
Arricciai il naso, aveva fatto la cacca e urlava.
Provai a canticchiare qualcosa per calmarlo. In fondo, potevo romperlo anche più tardi.
Era una gran fatica tenerlo fermo e mettergli il pannetto pulito.
Mi accorsi che cominciavo a guardarlo in maniera diversa. Non era più così estraneo, mi stavo abituando a lui.
Qualcosa era cambiato.
Avevo altro a cui pensare e non solo a me.
Questo era strano. Questo era forte.
“Perché non provi a disegnarlo?”
“Cosa?”
“Quello che provi!”
La mamma ne inventava una ogni secondo e conosceva i miei punti deboli.
Sapeva che adoravo disegnare e che non riuscivo a dire di no.
“Ci proverò, magari fra un pò!”
“Adesso!”
Presi un foglio, matita e colori e cominciai a pensare.
“Come si disegna la guerra?”
Non mi vennero in mente linee spezzate, ma linee curve come quella dei baci.
Strano che associassi Luca ai baci.
Forse a quelli mancati. A quelli che ancora non gli avevo dato.
Tracciai un cerchio e due cuori intrecciati che ridevano come i bambini.
Intorno c’erano tante stelle. Quelli erano i sogni.
Colorai con forza, precisione, passione. Usai colori vivaci.
Sentii l’amore scorrermi dentro.
Mamma spiava ed era felice.
Forse non ero più in guerra.
Dovevo solo ricominciare da quello spazio sognato da dividere ancora.
Bisogna sempre spiegargliele le cose ai grandi, ma anche ai bambini.
E da un disegno si impara molto di più!
(Angela Aniello)
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