Prestami le parole, mamma!
Un racconto per riflettere su come un bambino
vede il mondo che lo circonda
Quante volte vi sarete chiesti: cosa pensa un neonato che si affaccia al mondo? Come lo interpreta? Quali considerazioni fa delle interazioni sociali? Cosa pensa mentre compie dei gesti?
Si rimane incantati a guardare un piccolo esserino che sta nel mondo con l’aria a volte smarrita, altre così intelligente e consapevole di sé…
Molti studi mostrano come i neonati siano capaci di interagire subito: imitano la mimica facciale, fissano lo sguardo, cercano il contatto visivo della madre e immagazzinano tutti gli stimoli provenienti dall’ambiente; ogni esperienza lascia un segno indelebile che costituisce una traccia per organizzare le esperienze successive.
I bambini nascono con capacità innate di comunicazione e ricercano fin da subito il proprio interlocutore. Conoscono l’odore della sua pelle, il calore, il battito cardiaco e sono in grado di riconoscere la madre fra mille. Con lei instaurano un dialogo speciale, che si arricchisce con il passare dei giorni e permette di apprendere quelle competenze che potranno utilizzare più ampiamente nelle interazioni sociali.
Questo simpatico e delicato racconto ci proietta nella mente di un bambino che interpreta, commenta ed esprime i suoi pensieri sugli adulti che interagiscono con lui.
Si percepisce teneramente il suo desiderio di riuscire a comunicare con gli altri così come fa con la mamma, senza parole, ma con un’infinità di emozioni che comunicano molto di più delle parole!
Le parole possono anche essere prestate, ma non uguagliano mai le emozioni che devono trasmettere, la cui intensità e unicità ben si trattiene in un pensato silenzio.
Il bimbo e la sua mamma si rifugiano ognuno nello sguardo dell’altra e in quell’incontro si annullano tutti gli altri livelli di comunicazione o vi trovano un senso più profondo.
Lasciamoci trasportare dalla narrazione, in fondo ognuno di noi da bambino chissà che avrà pensato nell’approcciarsi al mondo!
a cura della Dott.ssa Santa Maggio
Prestami le parole, mamma!
Da quando sono nato, ovunque si posi il mio sguardo capisco che c’è bellezza, tranne nei nasi.
Non li sopporto! Lunghi, piccoli, aquilini, larghi, per me nascondono bugie.
Mi piace solo il mio, gli altri puzzano.
All’inizio tutto mi sembrava strano, irregolare. Pensavo che ogni cosa avesse spigoli.
Mi domandavo quanti lati e quanti spigoli ci fossero.
Tutto era forma. Solo che io non avevo parole.
Questo il problema.
Mi ero persuaso che gli spigoli fossero i gomiti delle cose per spostarsi; io avevo le gambe e gli oggetti gli spigoli, ottimi per difendersi.
Calciavo alla perfezione se qualcuno non mi andava a genio, gli spigoli, invece, erano subdoli e colpivano nel fianco arrecando un dolore indefinibile.
Allora, incrociare lo sguardo di mamma mi rasserenava. Solo in quel momento riuscivo a non pensare.
Era come arrivare in un porto sicuro e desiderare di fermarsi lì per sempre.
Poi ho capito che non funziona esattamente così.
Non ci si può fermare!
Quelli intorno a me avevano al polso uno strano cerchio (nuova forma per me che ero abituato agli spigoli) con lancette e ogni tanto ci buttavano un’occhiatina.
C’era, anzi mi correggo, c’è un tempo per ogni cosa. Anche per me. Un tempo pieno di bisogni.
Fame, sonno, voglia di coccole, noia, pannolino sporco. E stress! Tanto stress!
Nessuno pensa che un bambino piccolo possa annoiarsi e stressarsi. Invece, se sapessero!
Riparliamo dei nasi.
Quelli, che ti vengono a trovare per conoscerti e magicamente provano a infilare il naso tra le pieghe del collo, sono i più insopportabili.
Dico, vengono per conoscere me o sentire il mio profumo?
Lo stress mi porta a starnutire in continuazione.
Mi guardano ovunque tranne negli occhi. Afferrano le manine, controllano i piedini, contano quanti capelli ho in testa, ma, quando arrivano agli occhi, cercano solo di indovinarne il colore.
“Blu… saranno blu!” esclamano sentenziando.
Buffoni! All’inizio sono quasi tutti blu, vorrei urlare.
“Mamma, prestami le parole, per favore! Passami tutte quelle che non ti servono ma aiutami. Io non li sop-por-to!”
Chissà perché non fanno quasi mai caso alle espressioni!
Avrà pure un significato il mio continuo sbadigliare.
In silenzio sto dicendo: “Non mi piacete!”
“Uh… Ha sonno!”, dicono convinti. “Il bambino deve dormire. Cresce nel sonno!”
Là m’imbestialisco. Divento rosso paonazzo e mi metto ad urlare. Me ne invento una più del diavolo per farli andar via.
Sanno tutto loro. Invece non hanno capito un fico secco di me.
Non voglio dormire, non ho fame, non ho fatto la cacca, voglio soltanto la mia mamma! Le sue braccia. Le sue carezze. Le sue storie.
Non quelle quattro chiacchiere che mi son dovuto sorbire, pure inutili.
Avessi imparato qualcosa!
O meglio, una cosa l’ho imparata.
Che devo difendermi dalle persone. Da alcune persone.
Per fortuna non sono tutte uguali.
Mi piace questo mondo. Mi piacciono i volti. I nasi, no. Dicono le bugie.
Un giorno ho ascoltato la favola di Pinocchio e del suo naso sempre più lungo ad ogni bugia. E mi è venuto il terrore delle bugie.
Me lo controllo ogni giorno il naso. E’ la prima cosa che faccio al mattino. Controllare che sia sempre uguale.
Quando vedo persone con i nasi lunghi, penso: “Ma quante bugie avete raccontato!”. Allora non mi piacciono a pelle. E quelli con i nasi lunghi sono i primi a voler spiare il collo. Odiosi come le bugie!
Di contro, adoro quelli che vengono a trovarmi e hanno un tono di voce dolce. Quelli che non devono trovarti ad ogni costo difetti. Ti guardano e ti sorridono.
Basta che uno mi sorrida e mi emoziono.
Ancora non so bene cosa sia la felicità. Di sicuro è anche questo. Il piacere di un sorriso.
Allora non mi arrabbio, non ho bisogno di parole, ci capiamo perché sento il battito del cuore accelerato e una sensazione di benessere mi attraversa.
Quella serenità non mi induce a cercare per forza mamma (comunque la controllo) e mi rilassa.
Se, poi, mi raccontano storie, rischio di addormentarmi.
“C’era una volta un principe che sapeva sognare…” e gli occhi si chiudono.
Le parole ti conducono ovunque e ti fanno viaggiare.
“Gasparre! Gasparre!”
Mi sentii chiamare.
All’inizio ero in guerra col mio nome.
“Perché poi devo chiamarmi?” , tentavo di domandare a mamma. Mi piaceva anche il tono della sua voce ma il nome, no!
Pesante! Troppo per un bimbo piccolo come me!
“Gasparre! Gasparre!”
Neanche la voce del papà mi convinceva!
A volte, facevo finta di non sentire. Mica dovevo essere per forza io!
Un giorno mi hanno regalato una targhetta col significato del nome e mamma, che forse aveva intuito il mio malanimo, l’ha letto:
“Gasparre significa stimabile maestro. Era uno dei Re Magi e portò l’oro a Gesù!”
“Però!”, pensai perplesso. “Mica male!”
Non so chi siano i Magi, chi sia Gesù. Però ho capito che deve essere gente importante Una storia bella come altre che ho ascoltato. Poi, mi piace la parola MAESTRO.
Ha un suono forte, deciso. Un po’ mi rispecchia perché ho un bel caratterino.
Non dico che me ne sono fatto una ragione, ma quasi.
Comunque, quando posso continuare a dormire, anche se mi chiamano, non mi muovo. Apro un occhiolino, l’altro e se non vedo nessuno, riprendo a sognare.
“La storia dei bambini che crescono nel sonno ancora non l’ho capita, ma dicono che chi dorme di più della nanna normale, si svegli più grande!”
E spero di crescere! Voglio crescere e imparare a parlare.
Quando la mamma mi sveglia con le carezze, non c’è occhiolino che tenga.
“Prestami le parole, mamma, per descrivere la tua bellezza! Ho i concetti, ma mi mancano gli aggettivi!”
Mi piaci assai!
Prestami parole chiare, immediate, parole che ti aiutino a capire quanto ti amo. Ti a-mo! Mi ascolti?
Sì, è più di un semplice voler bene!
Posso voler bene al cerchio tondo e sorridente del sole, allo spicchio di luna che fa luce dalla finestra e che, quando è piena, somiglia a un bellissimo palloncino giallo.
Posso voler bene ai miei giochini, all’orsetto che dorme al mio fianco nel lettino, ma con te, con te è davvero diverso.
Finchè ero nella tua pancia e ti immaginavo, riuscivo ancora a trovarle le parole, biascicate, trasandate .
Ora non mi bastano.
E quando dico che mi piaci assai racchiudo un mondo, tutto il mio mondo.
Un mondo fatto di tenerezze, di ninnenanne, di favole raccontate, di passeggiate.
Un mondo in cui non mi sento quasi mai solo.
E’ triste quando un bambino si sente solo. Può capitare.
Se non mi guardi. Se sei impegnata in altro e mi sembra che ti dimentichi di me.
Ma un tuo abbraccio è il più bel pezzettino di te che mi doni e sparisce tutto.
Le ombre, le lacrime, le paure.
Prestami le parole, mamma, contro la paura.
Una volta mi sono convinto che i coccodrilli di notte venissero a cercarmi per mangiarmi le dita dei piedi e piangevo, piangevo.
Era solo un incubo. Ti ho svegliata, mi hai cullato semiaddormentata e al suono del tuo respiro mi sono calmato.
Mi piace, mamma, sentirmi rassicurato da te.
Mi piace anche papà, stare con lui pelle a pelle, ridere perché la sua barba mi fa il solletico ma tu, tu sei speciale.
Un giorno troverò le parole e te le affiderò.
Non so se saranno giuste, adeguate. Non so se mi accontenterò. Per ora so soltanto che
ti stupirò, vedrai, ti stupirò! E tu sarai felice! Ah, dimenticavo!
“Chiamami Gasparre, non mi arrabbierò!”
(Angela Aniello)
Una capacità difficile da ritrovare se non in persone che conoscono il funzionamento psichico e gli aspetti relazionali. Questi perché alla base dello sviluppo psichico ci deve essere l’interazione e ogni forma di comunicazione verbale è non. Complimenti. Continuate